Rivista 40 – L’Intelligenza Artificiale sarà la più importante conquista dell’uomo, peccato che potrebbe essere l’ultima

Era il 2014 e Stephen Hawking stigmatizzava l’Artificial Intelligence con un lapidale giudizio che, a distanza di anni, ha l’incosapevole pregio di compendiare in una battuta la complessa dicotomia dell’odierno dibattito sull’IA.
Vaticinando una “conquista importante” di segno negativo, il fisico britannico anticipava la divergenza di atteggiamento che, tra sovrastima e sottostima, oggi marca la difficoltà di una valutazione oggettiva delle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale.
Simpatizzanti tout court, elogiano l’IA come presupposto a un nuovo Rinascimento, dove l’ingegno umano figlia una versione altra di sé e da sé, ed emulando il potere creativo della testa di Giove genera la propria Minerva: una nuova divinità dell’intelligenza.
Denigratori a priori, condannano l’IA come nunzio di una fatale apocalisse, dove l’uomo, figliando una versione artificiale della propria intelligenza, condanna se stesso all’annientamento.
Un tendenzioso estremismo, nel nome del quale si rischia di fomentare una doppia insidia.
Da una parte, l’Irrational exuberance (già paventato dal presidente della Federal Reserve Alan Greenspan), poggiando su una sopravvalutazione dell’innovazione, può risolversi in una “bolla speculativa” (per riprendere l’espressiva proposizione finanziaria); d’altra, il chiudersi nella paura può comportare lo spreco del potenziale
tecnologico.
E allora?
In medio stat virtus, sentenziava la scolastica medievale, e oggi, più che mai, dovremmo recuperare quell’invito all’equilibrio di aristotelica memoria.
È innegabile il valore delle tecnologie intelligenti, il cui impatto è tale da meritare un paragone con le grandi rivoluzioni che hanno fatto la storia dell’umanità.
Tuttavia, proprio per la loro portata, non possiamo lasciarci sedurre dalle risorse trascurandone gli effetti; ma non possiamo nemmeno farci intimorire dai possibili contraccolpi negando i vantaggi.
Le neotecnologie sono il nostro presente e il nostro futuro, pertanto diventa impellente trovare un “accordo” di tipo realista, in grado di valorizzare le potenzialità dell’IA in una dimensione che deve comunque rimanere antropocentrica.
In questa prospettiva acquista un valore aggiunto l’impegno normativo europeo, che ha prodotto, lo scorso maggio, il primo regolamento sull’Intelligenza Artificiale: il c.d. AI ACT, il cui obiettivo principale è prorpio quello di garantire uno sviluppo etico e umanocentrico dell’Intelligenza Artificiale.
L’Europa conferma così il suo impegno pionieristico, già validamente sottolineato dal Presidente del Garante privacy, Pasquale Stanzione, che ─ in occasione della relazione annuale tenuta lo scorso 6 luglio ─, ha evidenziato la tendenza degli altri Paesi ad emulare la condotta europea, attivando un vero e proprio “effetto Bruxelles”.
Avrete l’occasione di verificare la portata del provvedimento europeo leggendo il puntuale articolo pubblicato in questo numero, che ci è sembrato doveroso dedicare a una tematica che sta rendendo ancora più “calda” un’estate già di per sé rovente.
Non ci dilungeremo allora in altri commenti, lasciandovi alla lettura dei diversi interventi con cui abbiamo tentato un riepilogo delle possibilità offerte dall’Intelligenza artificiale, come anche delle altre risorse digitali innovative (la realtà aumentata e il metaverso), nell’ambizione di poter superare i pericoli di un approccio fazioso, convinti come siamo che l’unica via percorribile è quella di un equilibrato realismo.

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