Come difendersi dai rischi imprevisti. Intervista a Maria Giovannone

L’emergenza Covid ha riacceso un tema già esistente, quello dei confini della responsabilità dei datori di lavoro a fronte di rischi nuovi, emergenti e difficilmente prevedibili. Un tema già fortemente dibattuto ma che è divenuto di stringente attualità proprio a causa della pandemia. Ne parliamo con Maria Giovannone, avvocato Giuslavorista, Professore Aggregato in Diritto del Mercato del Lavoro presso l’Università degli Studi Roma Tre, nonché responsabile dell’Ufficio Salute e Sicurezza di Anmil, associazione dalla stessa rappresentata anche nell’ambito della Commissione Consultive permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro recentemente ricomposta ad opera del DM del 4 febbraio 2021.
In ambito lavorativo, dunque, il Covid si può dire che sia servito?
“Più che servito, paradossalmente, ci ha consentito di riaccendere l’attenzione sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro. Ci sono stati tanti provvedimenti specifici per gestire l’emergenza nelle sue varie fasi, ma nel complesso è emerso un tema di sottofondo che necessita di risposte giurisprudenziali, ma soprattutto normative: apporre un argine alla responsabilità civile e – soprattutto – penale del datore di lavoro, ancorando il suo adempimento a regole modali certe e definite.”.
Perché secondo lei è necessario un argine giuridico?
“Anche il datore di lavoro più adempiente e responsabile può non aver fatto tutto quello che doveva nell’osservanza delle norme antinfortunistiche e non per negligenza. Il riconoscimento del Covid contratto in occasione di lavoro come infortunio sul lavoro ha positivamente esteso le tutele indennitarie INAIL per i lavoratori colpiti dall’infezione, ma resta il tema delle responsabilità civili e, soprattutto di quelle penali, che sono ben più pesanti. Ora bisognerebbe intervenire a livello normativo giacché, se un lavoratore contrae il Covid, data la multifattorialità della malattia, vi possono essere delle grandi difficoltà nel dimostrare l’effettivo nesso etiologico con l’ambiente di lavoro e, quindi, l’esistenza di effettive responsabilità datoriali”.
Stiamo parlando del cosiddetto nesso di causalità che può dimostrare od escludere la responsabilità?
“Esatto. Considerata la multifattorialità di questo tipo di rischi la certezza della prova è ardua. Già l’inserimento dell’articolo 29-bis nel Decreto liquidità ha fornito una limitazione di responsabilità datoriale asserendo che se il datore di lavoro ha messo in atto tutti i protocolli previsti, si considera automaticamente adempiente agli obblighi di cui all’articolo 2087 del Codice Civile.
Ma a quali protocolli si può far riferimento?
“Questo è un dato importante. Le associazioni dei datori di lavoro ed i sindacati hanno stabilito una serie di protocolli che vanno però costantemente aggiornati oltre che attuati, ovviamente”.
Ma la responsabilità penale così si esclude?
“E’ proprio questo uno dei nodi più problematici: se sul piano del diritto del lavoro una norma di questo tipo può più agevolmente esimere il datore dalle responsabilità civili, sul piano del diritto penale non è per niente semplice. Inoltre, la Giurisprudenza penale tratta questo tipo di rischio come malattia professionale, applicando quei parametri di individuazione della colpa già usati in passati, come ad esempio per le malattie da amianto. Ecco perché occorre un intervento legislativo mirato che definisca chiari confini della responsabilità datoriale onde evitare le derive oggettivistiche, da cui anche le aziende più virtuose escono pesantemente colpite in un momento di grande difficoltà economica del Paese. Per questo ritengo che utilizzare protocolli condivisi e concertati può servire ad apporre un argine.”

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