Bilancio di sostenibilità. Cos’è e chi deve farlo

La prima definizione di un bilancio di sostenibilità l’ha data l’Unione Europea, attraverso il Libro verde della Commissione nel 2001 “L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Sei anni dopo, anche il ministero dell’Interno in Italia ha fissato una definizione per questo documento aziendale: “Il Bilancio Sociale è l’esito di un processo con cui l’amministrazione rende conto delle scelte, delle attività, dei risultati e dell’impiego di risorse in un dato periodo, in modo da consentire ai cittadini e ai diversi interlocutori di conoscere e formulare un proprio giudizio su come l’amministrazione interpreta e realizza la sua missione istituzionale e il suo mandato”.
Chi deve attenersi all’obbligo del suddetto bilancio? Una volta l’anno sono tenuti a presentarlo gli stakeholder, o portatori d’interesse verso l’azienda, per dimostrare l’aderenza dei principi mantenuti nell’ambito della Responsabilità d’Impresa o Corporate Social Responsibility (CSR). Per portatori di interesse si intendono dipendenti, fornitori, incluse stampa ed autorità locali.
I motivi per cui presentare il report di sostenibilità sono svariati. Si risponde certamente ad un’esigenza legislativa, ma non solo. Anzitutto, presentare tale documento significa mostrarsi consapevoli e responsabili nell’adeguarsi al rispetto dell’ambiente. Si crea un’immagine aziendale (o di altra attività) affidabile; si può accedere a finanziamenti per investire o migliorare dei servizi, partecipare a meeting dove confrontarsi con realtà simili nonché avere la possibilità di partecipare a progetti di politica ambientale.
Oggi non esiste per legge un modello unico a cui attenersi, tuttavia le informazioni da rendicontare tra cui ambiente, comunità locale, personale, rispetto dei diritti umani, lotta alla corruzione attiva e passiva, seguono delle linee guida come quelle del Global Reporting Initiative.
Il GRI è una realtà nata proprio con l’intento di accompagnare le aziende nel comunicare l’impatto che queste hanno sulla sostenibilità (economica, ambientale e sociale). Le direttive coinvolgono sia l’aspetto processuale che di contenuto; il modello è largamente utilizzato in quanto adatto ad ogni tipo di organizzazione.
Tra gli elementi minimi della rendicontazione, la lettera agli stakeholder da parte del vertice aziendale; una nota metodologica, (tra cui redazione del report, processo di engagement ed analisi di materialità; il profilo dell’organizzazione (mission, offerta dei servizi e dimensione sul territorio, valori, organizzazione interna); la governance e strategia (informazioni sulla struttura di governo dell’organizzazione ed esplicitazione della strategia di sostenibilità) e la rendicontazione degli aspetti di materialità, che può essere scomposta per stakeholder (clienti, fornitori, dipendenti, comunità locale, ambiente) o per tipologia d’impatto (sull’economia, l’ambiente o l’aspetto sociale).
Bisognerà scegliere le giuste tematiche da snocciolare, rilevanti per gli stakeholder aziendali, non limitandosi al mero impatto sull’ambiente, ma tenere conto dell’influenza ambientale, sociale e governativa in un’ottica più ampia. Un altro punto da considerare è la trasparenza nella trasmissione di dati che potrà spiegare l’obiettivo con cui si è partiti e il risultato ottenuto utilizzando indicatori numerici che rivelino in maniera univoca le performance nel tempo.
Far certificare il bilancio di sostenibilità da terzi sarà sicuramente un modo per assicurarsi che le linee guida vengano mantenute. Il bilancio dovrà poi essere aggiornato di anno in anno, non limitandosi ad un semplice report numerico ma fornendo un documento con un lessico comprensibile, fluido, curato nonché accattivante.
Alcune società sono obbligate per legge a presentarlo. La direttiva numero 95 del 2014 (2014/95/UE), accolta alla fine del 2016 da parte del Parlamento e del Consiglio europeo, ha sancito l’obbligo di redazione per tutte le “imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e gli enti di interesse pubblico che sono imprese madri di un gruppo di grandi dimensioni, in ciascun caso aventi in media più di 500 lavoratori, nel caso di un gruppo, da calcolarsi su base consolidata”.
Base consolidata significa una realtà che abbia determinate caratteristiche stabilite: il totale patrimoniale deve oltrepassare i 20 milioni di euro, o, come alternativa, il totale dei guadagni delle vendite e delle prestazioni deve oltrepassare i 40 milioni. La direttiva è collegata al principio del “comply or explain”, ossia le aziende che presentano tali caratteristiche dovranno esplicitare le loro politiche nell’ambito in cui operano, o, nel caso in cui non lo facciano, dovranno spiegare le ragioni per cui non le hanno pubblicate.

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